24/10/2001

Questa sera comincio a capire il gioco. Sono riuscito a non farmi rifilare il the al latte ghiacciato, come invece a mezzogiorno. In compenso ho the al limone senza zucchero caldo da far paura. Ma perche' bevono qualunque cosa tranne che acqua? E perche' parlano un Inglese cosi' assurdo, che devo chiedere tre volte prima di non capire definitivamente?
Comunque ieri ero partito con un bicchiere di minestra... si, davvero inizio a capire qualcosa.
Tutti mangiano piu' veloce di me, e non e' a causa delle bacchette. Forse non pensano mangiando, forse hanno fretta. Eppure parlano. E non ho ancora capito se e' educato sedersi ad un tavolo dove c'e' gia' qualcuno. La Cinese carina che cerca un tavolo mi passa accanto e sparisce: eppure sono seduto da solo. Chissa'.
Questa e' l'Asia, o meglio questa e' qualunque cosa possa essere. Non leggo negli occhi i millenni di storia che non conosciamo. Non leggo perche' non so dove leggere. Perche' mi chiedono se gli Italiani sono romantici? E se le ragazze francesi sono le piu' belle?
E io cosa posso chiedere, che non distinguo un Cinese da un Giapponese? Si, questa e' l'Asia, ma potrebbe essere qualunque altra cosa. Potrei essere in qualunque altro posto che non conosco.
Hong Kong non si e' ancora vista: solo qualche grattacielo e un po' (un bel po') di traffico. Poi qui, direttamente sull'oceano, da cui Hong Kong non si vede piu'. Per ora e' solo quello che ho letto: gente, sudore, droga, vapore, tutte le razze e tutte le lingue, i marinai di Conrad che passavano di qui a gettare l'ancora. Solo fumo per la mente, idee, colore giallo e azzurro, lontananza. Qualche cartolina. Essere qui o altrove: poco piu' di un sogno.
Domani colazione con i biscotti Nabisco al cioccolato, anche se al supermercato c'erano anche i Loacker, ma costavano troppo. Gia', tutto potrebbe essere uguale. Ecco il mondo: voliamo, siamo liberi. Davvero.
Ah, la Cinese carina aspettava qualcuno. Ok. Buonanotte.

25/10/2001

Questa sera niente riso, non ne posso gia' piu'. Se uno non vuole mangiare riso, puo' sempre darsi alla pasta, che non ha un bell'aspetto... allora McDonalds oppure pizza cinese.
La scelta mi pare scontata: si opta per la mitica pizza che ha sopra qualcosa di indefinibile. Capisco solo quando e' nel piatto (o meglio, in bocca) che si tratta di ananas. Per il resto e' quasi uguale a quella che puoi mangiare da Pizza Hut a Durango, nel mezzo del Colorado Plateau, dove lo sceriffo ha davvero il cappello da cowboy e la colt appesa alla cintura, e il cielo e' il piu' bello d'America. Che poi e' la stessa che mangi da pizza Hut a Bruxelles (mi vergogno, ma giuro, ho fatto anche quello). Pizza americana, industriale, al sapore di microonde, da buttare giu' con una bella sprite gelata.
Cerco di confondermi, facilitato dal fatto che i cinesi sono davvero piu' piccoli degli occidentali, e mi sento quasi a mio agio. Ma nessuna cinese carina si siede, neanche stavolta ... pero' stasera ci sono davvero troppi tavoli liberi. Era giorno di vacanza, e non so nemmeno perche'.
L'immagine al satellite di Hong Kong mi fa capire che il territorio e' bello grande: saranno 40 km per 40. Ma di questo solo una piccola parte e' citta': il resto sono colline e isole quasi disabitate. Ma quel poco di citta' basta a fare i suoi sei milioni di abitanti, o quasi sette (mi dicono forse con orgoglio).
Oggi c'e' vento. E c'erano le graduations. Tutti gli studenti col loro mantello nero e il cappello, e le loro famiglie, e il fotografo, e le fidanzate e i fidanzati. C'e' tanto che mi ricorda l'America. Il campus enorme, con gli alloggi, la banca, il supermercato, i ristoranti, polizia dappertutto... non e' solo studiare, e' un'esperienza globale. Troppo. Sembra tutto un po' finto. Fatto apposta per non lasciarti camminare da solo. Poi al di la' della barriera c'e' la citta' che ancora non ho visto. Conosco solo un'aeroporto, un treno, un taxi. Un tunnel e qualche rondo'. E la guida a sinistra. Gia', un'altra cosa che e' rimasta a ricordarci che mille anni fa, qui, era Inghilterra.
E la Cina e' molto lontana laggiu'. Biciclette e villaggi, per quel poco che ho letto. Pechino, Shanghai e le fumerie d'oppio. Da qualche parte Lhasa e il Tibet.
Volero' di notte, al ritorno, cosi' non vedro' nemmeno l'Himalaya. Un buon motivo per tornare.

27/10/2001

Il bus e' il 91M. Cerco di imparare i nomi delle fermate di bus, metro e ferryboat, ma e' tutto inutile. Come i loro visi, anche le loro parole mi sembrano tutte uguali dopo solo una settimana. Meno male che ci sono i numeri che ci permettono di viaggiare: gate 21, bus 11, linea della metropolitana 3... piccola matematica per il turista imbranato.
L'autobus si infila fra i palazzi ma ancora non e' nulla, poi il buco della metro ed esco fuori in un mondo mai visto. Potrei dire Milano moltiplicata un milione, ma non renderebbe l'idea. Mi trovo circondato da apparecchi elettronici con i loro venditori insistenti, gioiellieri con le loro guardie armate (fucili a pompa che sembrano usciti da "Arma letale", altro che balle), vecchi, giovani, cibo e gas di scarico.
Non so se si vive o si muore. E' tutto assieme, dappertutto.
L'oriente e l'occidente si scontrano qui, altro che sul Bosforo. Non riesco a capire da che parte si sta (a testa in giu' o in su?).
Davanti l'ultimo telefonino e il computer portatile che metti in una tasca, dietro la vecchia che rovista nell'immondizia e ti chiede con umilta' o rassegnazione (si, e' rassegnazione) dieci centesimi. E poi dappertutto il cibo, o quello che potrebbe sembrare, che ti prende sempre piu' allo stomaco col suo puzzo mescolato alla fogna, e al diesel degli autobus.
Scappo via. Dietro ai palazzi, i loro veri volti, o solo quelli nascosti. Sporco, nero, acqua che cade, bocchette dei condizionatori da ogni finestra. Una casa che cade in rovina a fianco di cento piani nuovi. Uomini in canottiera direttamente dai gialli anni 20 di Charlie Chan. Ogni tanto un giovane elegante ovviamente col telefonino.
Tutto si vende, se non e' una grande finzione. Dal cibo alla vita. Un locale di spogliarelli spunta alle mie spalle.
Benvenuti a Kowloon, territorio di Hong Kong, la parte di citta' che sta sulla terraferma. Il resto della citta' e' sull'isola di Hong Kong propriamente detta, e ci si puo' andare in battello o in metro' a prezzi ridicoli. Com'e' che muoversi qui costa cosi' poco? Capisco che alla fine la citta' in se' non e' poi cosi' grande: e' grandiosa, ma non grande. E' un universo verticale. Il territorio di Hong Kong sara' 40 x 40 km, ma e' quasi tutto foresta tropicale (e sassi, che grazie a Dio non mancano mai), tranne i pochi chilometri quadrati di assurdita' pura in cui questi sei milioni e passa di persone (forse) vivono (forse).
Dal Ferry vedo la skyline delle due citta'. E' un po' grigio e nebbioso, peccato per le foto. L'umidita' mi appiccica il vento alla pelle. Kowloon era quello che ho detto, qualunque cosa fosse. L'isola di Hong Kong mi sembra quasi piu' normale, almeno e' un mondo solo. Solo grattacieli, banche, uomini eleganti, e ovviamente turisti. Adesso ci siamo, adesso si, potrebbe essere Milano moltiplicata un milione.
Su e giu' dalla montagna con la funicolare ("il tram"), poi via, in giro per il porto. Non c'era niente da fare lassu', se non due foto fra la nebbia. Lungo il porto a cercare... la guida mi dice Wan Chai, alla ricerca di Suzie Wong e del Wild far East dei marinai americani degli anni '60: donne e sudore, the e droga, appunto quello che ho letto. Forse non dovrei essere li', perche' di occidentali in giro non ne vedo proprio piu'. Metto via la macchina fotografica, ma poi la tirero' fuori di nuovo, vinto dalle luci che anticipano la sera.
Wan Chai, e si torna alla follia. Sembra ci abbiano costruito la skyline davanti per seppellirla all'occhio del viaggiatore (turista, non ci allarghiamo). E' ora di mercato (come sempre, mi sa), e si vende di tutto. Cibo, cibo e ancora cibo (e tutto che puzza), carne e pesce appesi fuori, funghi, ginseng, vegetali mai visti, spezie, galline vive, e abiti, tessuti, vecchie sdentate che vendono, mangiano e sputano per terra, e puzza di fogna dappertutto. Sei milioni. Ecco dov'erano.
Ne' sesso ne' droga (pare si debba andare a cercarli molto lontano, ma non'e' che mi interessino davvero), ma tanto sudore, quello si. Non so se ho visto l'oriente. Per noi l'est e' al massimo Trieste, che cosa ne so di quello che ho visto?
E al ritorno ripenso e poi lascio stare. So che devo spedire delle cartoline e cercare un paio di regali, poi a ciascuno di immaginare il proprio viaggio.
A domani. Verso le isole, in battello. Scusate, ma voglio una pizza, in un locale che non puzzi di maiale fritto, in una citta' di provincia che non puzzi di fogna. Siamo deboli, a volte.

29/10/2001

-Visitor ?
_Yes, visitor.
-Where are you from ?
-France- butto li'. Chissa' perche' all'improvviso voglio nascondere qualcosa. Poi non e' una bugia, e' da Parigi che sono partito.
Il Cinese mi e' spuntato a fianco all'improvviso, dopo essere sceso dall'autobus ed essermi infilato nel mercatino di questo "villaggio di pescatori", come dice la guida prestatami dal tizio con cui sono venuto a lavorare. Probabilmente vuole vendermi qualcosa.
-Do you want to see people on the water ?-
E vediamola, 'sta gente che vive sull'acqua. Follow me, e lo seguo.
Sono arrivato qui quasi per caso, solo perche' l'autobus che mi doveva riportare indietro dal monastero col Buddha seduto piu' grande del mondo era troppo pieno, quindi perche' non continuare, piuttosto che stare seduti aspettando il successivo?
La mia guida improvvisata mi porta in mezzo a vicoletti stretti dove potrebbero facilmente saltarmi addosso e riempirmi di legnate. Probabilmente tradisco un po' di nervosismo, e lo capisco dal suo commento : -very safe-. In effetti e' safe, molto piu' di rue Trachel dove andavo a bere birra ogni tanto. Sono praticamente a casa della gente (... casa ...). Scavalco una vecchia seduta a mangiare, e sbuco su un pontile da dove si vede "the water people". Vivono su palafitte. Vivono, oddio ... sembra di vedere un film sulla guerra nel Vietnam, o su qualunque guerra, o qualunque film sul Vietnam. Acqua corrente, neanche a parlarne. Fanno seccare dei pesci al sole, pesci che mangiano "every day of the year" (e' bello avere una guida locale).
Faccio qualche foto, ma non alla gente, perche' mi vergogno. Non ho la faccia tosta del fotoreporter in missione speciale, o piu' semplicemente so che non siamo allo zoo.
Questo e' Tai O, caratteristico villaggio di pescatori sull'isola di Lantau. A cinquecento metri da questa palude di uomini e pesci tra il mare e la montagna hanno tirato su il villaggio nuovo, fatto di palazzi a trenta piani. Comincio a non capirci piu', o forse comincio a capire qualcosa: ma l'Asia e' tutta cosi? O vivono nelle baracche o nei grattacieli? Ma non sono capaci di costruire delle case? Case, ho detto case, non alveari. E di spazio ne avrebbero.
-I don't like this- puntando un palazzo qualsiasi (sono tutti uguali). -Do you prefer people on the water ?- Rinuncio a spiegargli che in Europa non costruiamo questa roba. Assomiglia alla periferia di Torino o di Milano, solo che i palazzi sono alti il triplo. E poi siamo in mezzo alla campagna, santo cielo.
Non riesco a mettere a fuoco molto bene: sembra davvero naturale per l'Asiatico del ventesimo secolo vivere in quelle gabbie di cemento con al posto delle finestre le bocchette dei condizionatori. Stamattina, arrivando a Lantau, sono stato aggredito dalla sparata di palazzi sul promontorio, e il nulla tutto attorno. Poi mi sono perso anche li' in mezzo alle baracche dei poveri, senza acqua ne' cesso ma la televisione a trenta pollici.
Una donna di cent'anni esce con un sacchetto di plastica, va sulla spiaggia e lo butta nel mare... ah, ecco dov'e' il cassonetto dei rifiuti. Una contadina di cent'anni anche lei... ecco un'altra cosa: o hanno vent'anni e sono eleganti e bellissime nelle loro gonne lunghe, o ne hanno cento. Manca sempre un pezzo al cerchio della vita. Eppure rotola, come da noi. La mia guida mi porta a vedere il tempio (moderno), il cimitero ("dove saro' seppellito", allegria)... -the Americans want to build a big amusement park, the biggest in the world. In ten years all will be different-. The biggest in the world, come il Buddha. Addio, water people. Meglio o peggio, non tocca a me decidere.
-To get back, take the bus... no, not from there, just here... I live here, I know...-
Voglio comprare cartoline, ma -I have some postcards for you. Also a drink-. Lo sapevo che voleva vendermi qualcosa. Gli allungo un po' di Hong Kong dollars: roba di piccolo taglio non ne ho piu' ma tanto sara' sempre infinitamente piu' povero di me.
Avra' quaranta o cinquant'anni. O forse la mia eta', chissa'.
-See you in ten years- gli dico -verro' a vedere se tutto e' cambiato-. Ride e mi da' una botta sulla schiena.
-Are you sure that the bus... ?-
-Oh yes, I live here!-
Ovviamente mi infila sull'autobus sbagliato. Ma cazzo, sono in Cina, mica posso perdermi cosi' come se niente fosse ...

03/11/2001

Ci mancavano i musicisti tedeschi ... come si chiamano? "The Notenhoblers" per chiudere degnamente questo soggiorno nel cuore malato dell'Asia. Attraverso il tratto di mare dall'isola di Hong Kong a Kowloon distratto dalla musica di questi allegri tedesconi vestiti di pelle di vacca, zoccoli e cappelli tirolesi che vengono sul battello a fare un po' di pubblicita' per il decimo "german bierefest di Hong Kong", tra ottobre e novembre. Una birra, ragazzo, e bevitene una anche tu. No, non sono tedesco, ma tanto siamo tutti fratelli al di qua' del Volga. Per ora solo fin li', non si sa mai.
Confermo, a Hong Kong c'e' tutto. Anche il venditore di caldarroste con quasi trenta gradi umidi. Sarebbe New York se i taxi fossero gialli e se si guidasse a destra? Sarebbe Londra (i bus a due piani, certo!) se invece che a ripararsi dal sole gli ombrelli servissero a non prendere acqua? No, non credo. Penso che Hong Kong sia uno zoo a parte in questo nostro passeggiare dietro una gabbia (occhio che siamo noi quelli dentro, non quelli dall'altra parte).
Il ferry rolla da maledetto. Il ferry, gia'. Puzza di diesel da una vera puzzolente e umida sala macchine, marinai veri dall'aria stanca e ubriaca, e quando scendi ti trovi nella piu' moderna e automatizzata metropolitana che si sia mai vista. "Please mind the door" ripete la macchina ad ogni fermata. Si' lo so che le porte si chiudono, e non ho nesssun bisogno di sentirmelo ripetere ad ogni piano anche dentro l'ascensore. Diventerei nevrotico in breve tempo, qui.
Cerco di raccogliere i pezzi di questo viaggio. Cosa non dimentichero': gli odori, prima di tutto gli odori (meglio, la puzza). Poi i colori e le luci. La poverta' dei poveri e lo squallore dei ricchi. Non so definire diversamente che squallide le loro case, siano palazzi a mille piani che altro (c'e' ben poco d'altro). Non e' come l'America. I mendicanti sono tanti, ma finisci per non farci caso e tieni le tasche abbottonate: e' facile cadere presto sulla sponda sbagliata del fiume. Poi a Hong Kong c'e' lo shopping. Di meraviglie tecnologiche e' pieno ogni marciapiede, ma non e' che i prezzi siano cosi' convenienti, forse a causa dell'effetto dollaro (la moneta locale pare sia agganciata al dollaro USA... ah, i gringos, che poi i messicani chiamavano cosi' volendo dire "green go", ossia verde vai via... verde, i bigliettoni). Fare shopping a Hong Kong e' un'esperienza spiacevole, se non ti piace farti aggredire dai commessi. Non puoi entrare in un negozio senza che un deficiente ti chieda di cos'hai bisogno. Non resta che rispondergli male in perfetto italiano e andarsene.
Girare per negozi e' comunque un'esperienza orizzontale, nel senso che i tradizionali "bargain shops" locali sono orizzontali, poco piu' di cinque metri per due a livello marciapiede con lo squalo che ti attende un metro oltre l'uscio. Poi alzi la testa e si cambia dimensione, ma non so quale sia la migliore.
Naturalmente ci sono quelli che ti fermano per strada per offrirti orologi (rubati, suppongo, o solo imitazioni illegali -non siamo nella patria del finto per vero?-) e per farti fare un vestito su misura in ventiquattr'ore (pensavo fosse solo una leggenda ...).
Ladri, o sarti, rompono allo stesso modo. Ma non sono cinesi, piuttosto indiani o simil-europei. A un certo punto: -my friend, watches?- non ne posso piu': -first of all I am not your friend. Second, anything you have, I don't want it-.
Ok, basta anche con lo shopping.
Cosa c'e' di positivo in tutto questo mondo? Beh, l'universita' e' bella e secondo me pure ad alto livello. E' in un bel posto, una magnifica baia verde su un oceano pieno di isolette. Ha solo il difetto di ricordarmi l'universita' americana, e quindi passati poco piacevoli. Giusto o sbagliato, quello che ho fatto e' ormai alle mie spalle. Via a vivere un'altra vita (grazie, 767 Alitalia Boston-Roma. Grazie Tony, per avermi aiutato a portare le valigie).
L'universita'... un po' poco di positivo, lo riconosco. E' difficile pensare che si possa vivere decentemente in questo posto. Anche se e' vero, le donne sono bellissime. Le giovani almeno, poi deve succedere qualcosa che mi sfugge.
Come sempre viaggiando si impara qualcosa. Anche non imparassi nulla, sarebbe sempre una lezione in se'. Perche' questo e' l'unico posto al mondo dove al McDonalds non sparecchi i tavoli da te? Cos'e', anche li' dividiamo il mondo in gente che mangia e gente che spazza via gli avanzi? E' la cultura asiatica che vuole cosi', ancora piu' di quella occidentale?
Forse e' vero, qui gli umili sono piu' umili dei nostri e non alzano la testa. La societa' e' piu' chiusa, anche nella citta' delle mille opportunita'. In America e' tutto il contrario: anche lo spazzino ha il suo cartellino col nome ed e' rispettato. Non e' solo una palla per sbandierare liberta', uguaglianza e ricerca della felicita' (ma anche per i bambini afghani, Mr Bush?).
Adieu, "Asia's world city". Adesso lo so cosa mi hai insegnato. Che esistono al mondo posti in cui nessuna ragione e' sufficiente per vivere. Viva il barbera e il "bar Sandro", e cosi' sia. Non cambieremo mai il mondo, neanche volessimo provarci sul serio.

04/11/2001

Addio, dolce fiore d'oriente dagli occhi a mandorla, che mangi intimidita seduta al mio tavolo. O che hai quasi scontrato il mio naso attraverso una porta. Perche' abbassi gli occhi quando voglio guardarti? Cosa potrei mai provare a dirti?
Tanto non saprei cosa dirti.
Non saprei raccontarti del mio mondo selvatico, di campagna e di montagna. Dell'autunno, funghi e castagne, dei miei boschi piovosi. Del fuoco di legna nel camino, le domeniche in cui la pioggia non permette di uscire.
Non conosci il mio inverno e i suoi lunghi silenzi, e la neve che cade o almeno cadeva, quando tutti eravamo bambini (una volta e' stato per tutti). Raccontarti i nostri giorni da semplici operai vagabondi, avvelenati dal rosso buttato giu' la notte di Natale. E la Messa e' solo un pretesto per far bollire il vino e le spezie (ma il Signore capisce, e perdona). Le nostre sbornie assurde e una chitarra (Pink Floyd, "whish you were here", e chi lo parla l'Inglese? Il Dimi, che e' stato in America, e quanto tempo e' gia' passato). In braccio alle donne, bevute anche loro.
Non ho mai visto da dove vieni. I tuoi templi millenari e le steppe gelate. O questa natura senza riposo, perche' inverno non c'e'.
Non so come abiti, nei tuoi boschi di cemento e di fango. Non capisco il tuo nome.
Ritorno alla mia lingua selvaggia, ai miei suoni. Italiano, e lingua di montagna. I miei libri che si leggono da sinistra a destra, e De Andre' (preferisco da sempre il letame ai diamanti).
Il mio oriente lo posso vedere, dalle cime ventose guardando incontro al sole. Venezia o gli Slavi, piu' in la' non ho occhi. O c'e' sempre troppa nebbia. Non basta guardarsi. Il mondo e' ancora grande.
Ti ho amata un secondo, con tutto e per tutto.
Ma so amare anche con gli scarponi ai piedi, e una bestemmia sincera nel mio italiano invecchiato (il Signore capisce, e perdona).
Anche se gli occhi in cui rido sono piu' tondi dei tuoi.
Grazie al cielo c'e' ancora un aereo. Alzati, amico. Portami a casa.

-Da dove vieni ?-
-Da casa .-
Certo. E da quale altro posto si puo' mai venire?
(William Least-Heat Moon, "Strade Blu")










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